27 gennaio 1994 -- Berlusconi: il miracolo lo faccio io.

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Verso le elezioni. L' annuncio ufficiale tv di Silvio Berlusconi: scendo in campo

Berlusconi: il miracolo lo faccio io

"Contro le sinistre scendo in campo per mettere insieme le forze della libertà". I contenuti del messaggio. L'abbandono delle cariche. I progetti di alleanza.


Con un videomessaggio registrato Sua Emittenza annuncia l'ingresso in politica e la rinuncia a tutte le cariche, Milan escluso.

MILANO. Uela', sun chi' mi. Eccolo, l'aria distesa, il sorriso smagliante. Entra nelle case degli italiani all'ora del te' dagli schermi del Tg4 di Emilio Fede, il più lesto e il più schierato dei suoi teledirettori. Blazer blu, camicia azzurra, cravatta a pois bianchi piccolissimi, Silvio Berlusconi parla per otto minuti. E annuncia: "Ho scelto di scendere in campo perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a filo doppio a un passato politicamente ed economicamente fallimentare". E seduto alla scrivania nello studio della casa di Macherio. Alle sue spalle s'intravedono una piccola scultura di Cascella e alcune foto di famiglia. Ogni tanto sbircia i fogli, giusto per candenzare il suo discorso. Ed è un discorso che ha provato e riprovato nella notte tra martedì e mercoledì finché, intorno alla mezzanotte, non ne è rimasto totalmente soddisfatto. E l'ha imprigionato in una videocassetta. E un discorso, quello del Cavaliere, che inaugura la democrazia elettronica. E che cosa dice? Innanzitutto, che per gettarsi nella mischia rinuncia a tutte le cariche che ricopre, a incominciare dalla Fininvest e poi, giù giù, sino alla Sbe e all'Elemond. le lettere di dimissioni sono partite già ieri mattina. Ma di mollare l'amatissimo Milan non se ne parla nemmeno. E in che cosa consiste l'avventura in cui si è imbarcato Sua Emittenza? "Nell'offrire al Paese . risponde . un'alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti". Certamente, non è una battaglia da combattere da solo, ma "in sincera e leale alleanza con tutte le forze democratiche". L'Italia, dice, attraversa "il difficile momento del rinnovamento e del passaggio a una nuova Repubblica". Ma proprio per questo il Paese che "giustamente diffida di profeti e salvatori ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza consolidata, creative ed innovative, capaci di dargli una mano, di fare funzionare lo Stato". Uela', sun chi' mi. L'incubo che ossessiona Berlusconi è che i cavalli dei cosacchi si abbeverino alle fontane di San Pietro. Ed è una preoccupazione che domina l'intero discorso. Con le nuove regole elettorali, argomenta, "è indispensabile che al cartello delle sinistre si opponga un polo delle libertà che sia capace di attrarre a sé il meglio di un Paese pulito, ragionevole e moderno". Ne dovranno fare parte "tutte le forze che si richiamano ai principi fondamentali delle democrazie occidentali, a partire da quel mondo cattolico che ha generosamente contribuito all'ultimo cinquantennio della nostra storia unitaria". Non dice, Berlusconi, se questo polo delle libertà sia nato o no. Accenna solo al ruolo che i cattolici ebbero nel costruire una diga contro il comunismo quali portatori di "valori ed obiettivi che non hanno mai trovato piena cittadinanza in nessuno dei Paese governati dai vecchi apparati comunisti, per quanto riverniciati e riciclati". Dunque, incombe ancora il pericolo rosso. Occhio a non prendere abbagli, ammonisce: "Le nostre sinistre pretendono di essere cambiate. Dicono di essere diventate liberaldemocratiche. Ma non è vero". Attenzione, scandisce il Cavaliere: "I loro uomini sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti. I loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nel mercato, non credono nell'iniziativa privata, non credono nel profitto, non credono nell'individuo". In una parola: "Non sono cambiati". Perché, afferma sicuro, "vorrebbero trasformare il Paese in una piazza urlante che grida, che inveisce, che condanna". E allora? Uela' sun chi' mi. Io sono sceso in campo, esorta. Ma ora "lo chiedo anche a voi, a tutti voi, prima che sia troppo tardi". Berlusconi sogna "a occhi bene aperti". Ed è un sogno che evoca Martin Luther King, il campione delle battaglie per i diritti civili degli afro americani, e il suo arcinoto "I have a dream". Sua Emittenza vagheggia "una società libera, di donne e di uomini, dove non ci sia paura, dove al posto dell'invidia sociale e dell'odio di classe stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l'amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita". Ecco, dice il Cavaliere, Forza Italia vuole tutto questo. "Non è l'ennesimo partito o l'ennesima fazione che nascono per dividere". E, al contrario, una forza che vuole "unire per dare finalmente all'Italia una maggioranza all'altezza delle esigenze più profondamente sentite dalla gente comune". E un'organizzazione di "uomini totalmente nuovi. E ciò che vogliamo offrire alla nazione è un programma di governo fatto solo di impegni concreti e comprensibili". Insomma, conclude Berlusconi, "la storia d'Italia è a una svolta". E possibile farla finita "con una politica di chiacchiere, di stupide baruffe e di politicanti senza mestiere". Costruiamo insieme, per noi e per i nostri figli "un nuovo miracolo italiano". Uela', sun chi' mi.

Fuccaro Lorenzo

Pagina 2
(27 gennaio 1994) - Corriere della Sera

(fonte: Berlusconi_miracolo_faccio_io_co_0_9401277421.shtml)

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26 gennaio 1994 -- Berlusconi: perchè scendo in campo.

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Caro direttore,

è la seconda volta che abuso della sua cortesia per dialogare con il professor Panebianco e garbatamente polemizzare con lui. Come può immaginare, è per me una sofferenza intellettuale il trovarmi d'accordo con la sostanza di un articolo sul futuro di questo Paese, e tuttavia non condividerne il risvolto decisivo, quello che mi riguarda personalmente. Panebianco torna a dire che l'Italia dovrebbe, per essere migliore, dividersi civilmente in due poli politici alternativi tra loro, ma aggiunge che la mia discesa in campo sarebbe di ostacolo affinché questo accada. Sulla prima affermazione concordo pienamente, sulla seconda no. E cerco di spiegare perché. Se il 27 di marzo potessimo scegliere tra un cartello delle sinistre, i cui caratteri già conosciamo bene, e un polo delle libertà costituito e attrezzato per gareggiare sul serio, e vincere, il problema Berlusconi non esisterebbe. Ma così non è. L'appello che ho rivolto a chi ha buona volontà, in favore dell'unità dei liberali e dei democratici, non è rimasto inascoltato, questo è vero. Se penso alla situazione di appena un mese fa, all'indomani delle elezioni amministrative, mi vien fatto di dire che una certa Italia, quella che non si vuole affidare alle cure degli ex comunisti e apparentati, è passata con rapidità eccezionale da un mal sottile, rinunciatario e perdente, a uno spirito di autentico ottimismo e, se posso osare, di speranza. Mi sembra questo uno dei motivi, e non tra gli ultimi, che hanno convinto Mario Segni a uscire dall'isolamento cupo, orgoglioso e pessimista in cui quell'ottima persona che è Mino Martinazzoli lo avrebbe voluto confinare. E ancora mi auguro, inguaribilmente fiducioso come sono, che i popolari si lascino contagiare felicemente da questo fatto nuovo. Qualcosa però continua a mancare. Senza un ampio accordo politico ed elettorale, articolato e differenziato quanto si voglia, il compito di dare alla maggioranza moderata e liberale degli italiani una rappresentanza politica adeguata non sarà assolto. E oltre all'accordo, perché non sia un pezzo di carta, occorre avere la determinazione a combattere, senza animosità ma con un'attitudine aperta e schietta. Il fattore umano è importante in tutte le cose. Una iniezione di forze sociali che non abbiano fatto della politica un mestiere è decisiva per passare nei fatti dalla prima alla seconda Repubblica. C'è poi un elemento squisitamente politico da considerare. La tentazione consociativa resta fortissima. L'idea che questa legge elettorale maggioritaria debba essere nei fatti tradita, e che al centro del sistema parlamentare e di governo debba ricostruirsi un ibrido molto simile alle maggioranze pasticcione del passato, per di più con gli ex comunisti a far da nuovo centro del centro, circola malignamente ancora in tanti attori della vecchia scena politica. Credo che si debba fare di tutto per impedire un tale esito. Una delega precisa Abbiamo scelto, con un referendum e con una legge maggioritaria, di conferire direttamente al popolo, alla gente, la delega a stabilire chi deve governare e chi deve fare l'opposizione. Sarebbe un bell'affare togliergliela ora, all'ultimo istante, con un escamotage politicante: un bell'imbroglio. La prospettiva di questo nuovo consociativismo, in nome di un centro impotente e galantuomo, è il vero problema delle prossime elezioni politiche. Se il dibattito, con il conflitto sui programmi e le idee e gli interessi (le tasse, la spesa pubblica, il lavoro, le privatizzazioni), non si radicalizza, non si "polarizza", allora non nasce nessun sistema politico nuovo, nessuna vera alternativa ai guasti pluridecennali che Panebianco indica con tanta lucidità. Il mio appello per una vera unità dei liberali e la mia determinazione a impedire un imbroglio ai danni degli elettori dipendono da questo giudizio. Vogliamo finalmente un cambio di governo e di classe politica che non sia il solito cambio trasformistico di regime? Vogliamo finirla con la collusione degli interessi, che Panebianco denuncia, e cominciare l'epoca democratica in cui gli interessi civilmente confliggono? Vogliamo una sfida politica vera in cui chi vince vince e chi perde perde? Salvare i referendum Vogliamo salvare i referendum liberisti, portare fino in fondo la riforma istituzionale avviata con la legge elettorale, difendere il pluralismo dei poteri economici dalla tentazione consociativa, che tanti danni ha fatto alla politica e alla moralità di questo Paese? Se vogliamo tutto questo, e Panebianco mostra di volerlo con tutta la sua pubblicistica, allora non possiamo pensare di ottenerlo con dei mezzi accordi privi di vitalità politica e di chiarezza nei programmi, per poi magari andare, dopo le elezioni, ognuno per la sua strada, e regalare l'Italia a Occhetto, a Bertinotti e a Orlando. Il problema Berlusconi è tutto qui, nella assoluta convinzione che mi sono fatto della necessità di cambiare pagina davvero e di dare una mano perch la nuova pagina sia scritta, ma a caratteri chiari e non sull'acqua. In quest'opera non sono mosso da protagonismo personale, e chiunque sarà d'accordo con me nel portarla a termine sa che chiedo spazio per le mie idee, non per me o per miei uomini. Da alcuni mesi giro l'Italia con l'occhio dell'imprenditore che sente la necessità di una forte svolta politica, dopo i guai del recente passato. Linea di svolta a 180 gradi Posso garantire a Panebianco che su questa linea di svolta, a 180 gradi, si ritrova la stragrande maggioranza dei cittadini di questa Repubblica. Chiedono una vera rappresentanza politica. E mi pare di capire che quel che è sopravvissuto dei vecchi partiti, senza il contributo di un movimento che viene dalla società, non potrebbe o non saprebbe o non vorrebbe dargliela.

Berlusconi Silvio

Pagina 001.003
(26 gennaio 1994) - Corriere della Sera

(fonte: Berlusconi_perche_scendo_campo_co_0_9401267563.shtml)

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